Con il 2025 si chiude un ciclo importante di politiche industriali in Italia, segnato da due misure che hanno orientato gli investimenti a partire dal 2019: Transizione4.0 e la sua evoluzione più recente, Transizione 5.0.
Siamo pronti a tirare le somme? Ci proviamo e vi diciamo la nostra
Da concetto a misura: il significato della Transizione Industriale
La transizione industriale nasce come concetto prima che come agevolazione: è il susseguirsi delle rivoluzioni che hanno segnato la storia dell’industria.
- 1° Rivoluzione: meccanizzazione del lavoro
- 2° Rivoluzione: elettricità e motori
- 3° Rivoluzione: informatica ed elettronica
- 4° Rivoluzione: digitalizzazione (in corso)
- 5° Rivoluzione: sostenibilità integrata all'innovazione
La cosiddetta Transizione 5.0 si colloca in quest’ultima fase: troppo vicina alla 4.0 per rappresentare un vero “dopo”, ma sufficientemente diversa da superare la sola digitalizzazione, puntando su obiettivi di sostenibilità ambientale, economica e umana. In questa fase, tornano al centro le persone, i lavoratori, accanto agli obiettivi di efficientamento energetico e di competitività delle imprese.
Dal concetto all’agevolazione: la transizione 5.0
In ambito di finanza agevolata, la Transizione 5.0 integra la misura precedente, aggiungendo nuovi criteri di ammissibilità e premiando l’efficienza energetica. Non basta più digitalizzare: bisogna farlo in modo sostenibile, misurabile e tracciabile.
Volendo trarre una valutazione conclusiva sul successo della misura, non è possibile non parlare, minimamente, della Transizione 4.0.
Quest’ultima ha avuto un grandissimo successo in Italia per quanto riguarda l’accoglienza da parte del pubblico e la sua fruizione, tanto che la misura è stata rifinanziata per diversi anni, seppur con alcune modifiche nel tempo. Per questo, a fine2023, era plausibile pensare a un prolungamento anche per gli anni successivi.
RePowerEU e nuovi fondi
Con il piano europeo RePowerEU sono arrivati nuovi fondi, con i quali finanziare la misura. Ma i fondi non sono arrivati da soli: sono stati accompagnati da nuove priorità. L’obiettivo, a questo punto, non è più solo la digitalizzazione, ma una netta inversione dei trend inquinanti. È in questo contesto che nasce Transizione 5.0, con criteri più selettivi e obiettivi più ambiziosi.
Difficoltà in partenza: motore diesel o batteria a terra?
Annunciata a fine 2023, la misura è entrata in vigore solo a metà 2024, retroattiva per gli investimenti effettuati da gennaio. Tuttavia, molte imprese hanno atteso chiarezza normativa prima di agire — e con ragione. La necessità di ottenere una certificazione energetica preventiva, infatti, comporta costi e tempi non banali. Costi che, anche se ammissibili per le PMI, verranno recuperati solo a progetto concluso.
L’attesa di chiarimenti normativi può quindi aver ritardato l’inizio degli investimenti.
Tempistiche strette, iter lungo
Le tempistiche non hanno solo ritardato l’avvio: incidono sull’intero processo agevolativo.
Le imprese, ad oggi, potrebbero essere ancora nella fase di raccolta documentale. Questo potrebbe spiegare per quale motivo solo una minima parte dei fondi —forse il 10% — è stata attivata.
Se così fosse, va comunque considerato che dare 2 anni di tempo (di cui 6 mesi mangiati dalla rifinitura dell’agevolazione) per riuscire ad esaurire i 6,3miliardi stanziati sia stato un po’ ottimistico, ai limiti dell’inverosimile.
A chi sembra davvero rivolta la Transizione 5.0?
Considerando le richieste di efficientamento e di documentazione da produrre, con i costi che ne derivano, la misura potrebbe risultare più appetibile per imprese di media e grande dimensione, che in Italia costituiscono meno del 3% del totale delle imprese italiane (dati ISTAT 2021).
Inoltre, va considerato che gli investimenti in beni strumentali legati ai processi produttivi, pur essendo – sulla carta – indirizzati a tutte le imprese di tutti i settori, sembrano essere compatibili principalmente con le imprese che operano nel settore manifatturiero, restringendo ulteriormente il bacino di utenza.
Non si intenda che le microimprese (78,9% del totale delle imprese, Dati ISTAT 2021) non possano voler investire beneficiando della transizione 5.0. Forse, è meno probabile che investano in numero e per somme tali da assorbire i 6,3 miliardi messi a disposizione, con un credito di imposta che varia dal 5% al 45%.
Transizione 4.0 vs Transizione 5.0: un paragone inevitabile
Nel frattempo, la Transizione 4.0 — già nota, già rodata, già apprezzata — è rimasta disponibile, diventando per molte imprese la scelta più logica. A confronto, la 5.0 con i suoi obblighi e vincoli è più ambiziosa ma anche più impegnativa da interpretare e attuare.
Un confronto che, alla luce del recente “saccheggiamento” dei 2,2 miliardi destinati alla 4.0 risulta ancora più evidente e chiarificatore rispetto alla preferenza delle imprese italiane.
Un modello da perfezionare, non da scartare
Nonostante tutto, la Transizione 5.0 rappresenta un modello virtuoso per il futuro delle politiche industriali. L’introduzione di vincoli e limiti chiari può portare ad investimenti e richieste di agevolazione più coerenti con la misura stessa, più responsabili e che presentano meno “scappatoie”.
Conclusione
È stata creata una misura con obiettivi nobili, ingenti fondi e contributi interessanti, che agevolasse spese per macchinari e impianti che le imprese già intendevano fare.
Tuttavia, si rileva una sorta di scollatura tra l’ipotetico, lo sperato e la realtà dei fatti. Una distanza che riguarda le tempistiche reali che comportano determinati investimenti e un occhio alla composizione del tessuto produttivo al quale ci si rivolge.
Sostanzialmente, se si parlasse di marketing, direi che l’idea è splendida, ma non c’è stato un accurato studio del target, né dei suoi desideri o delle reali esigenze.